30 novembre, 2025

Maria unica corredentrice?

 

Maria unica corredentrice?

Il concetto di Maria corredentrice diventa fuorviante se la concepiamo come unica corredentrice nel senso che solo Lei sia corredentrice e non lo siamo anche noi, seppure in grado inferiore. In tal caso Maria non appare più una di noi, ma viene elevata a una funzione sovraumana e divina che la fa apparire una dea.

Infatti dire che solo Lei è corredentrice e non lo siamo anche noi è come dire che Lei in questo corredimere svolge un ruolo divino al di sopra del nostro essere creaturale e quindi alla pari di Cristo.  Ora il corredimere, in realtà, non è affatto un privilegio esclusivo di Maria come la maternità divina, la pienezza di grazia, l’innocenza, l’immacolata concezione e l’assunzione in cielo anima e corpo.

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Quindi possiamo dire che Maria nel corredimere svolge un ruolo unico da noi irraggiungibile, purchè però intendiamo tale unicità non come un privilegio unico che solo Lei possiede, al di sopra del comune fedele, ma come l’attuazione più perfetta e insuperabile di quella corredenzione che tutti siamo chiamati a compiere nell’imitazione di Cristo per intercessione di Maria nell’opera della salvezza nostra e dei fratelli.


Immagine da Internet: Madonna del Parto, Antonio Veneziano


29 novembre, 2025

Che cosa è il nichilismo? - Quinta Parte (5/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Quinta Parte (5/5)

 

L’esistenza di Dio secondo Barzaghi

Siccome per Barzaghi l’essere è Dio, perché l’essere s’identifica con l’ipsum esse, ne viene che negare l’esistenza di Dio è come negare l’esistenza dell’essere, è affermazione contradditoria e nichilistica. Ma le cose non stanno così: mentre è certamente contradditorio e nichilistico dire che l’essere è niente, la proposizione «Dio non esiste» è sì una proposizione stolta, ma ha un senso intellegibile, e può sembrare vera, perché pone davanti al pensiero due oggetti: il concetto di Dio come ente supremo o causa prima e il concetto dell’esistenza che è intuitivo.

Egli, seguendo Bontadini, sostiene la possibilità di quella che essi chiamano «via breve» per dimostrare l’esistenza di Dio facendo a meno dell’uso del principio di causalità efficiente, come fa Tommaso al seguito di Rm 1,20 e Sap 13,5. 

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Un altro errore di Barzaghi circa il concetto della creazione è il fatto che egli risolve la creatura nel suo esser creata. Ma così succede che cade nel panteismo. Infatti l’atto del creare in Dio, benchè sia effetto del suo libero arbitrio, coincide con l’essenza divina, per cui se la creatura si risolve nell’esser creata, e quindi in questo atto, sia pur passivamente, succede che la creatura s’identifica con Dio.

Infatti, l’esser creato non è altro che il passivo dell’attivo creare. Ma l’atto, passivo o attivo che sia, è sempre atto divino identico a Dio. Se pertanto la creatura viene definita da questo atto e identificata con esso, sia pure in forma passiva, come atto ricevuto, la creatura finisce per identificarsi con Dio stesso, ossia con l’atto creativo coincidente con l’essenza divina. Ora, se l’essenza della creatura coincide con l’essenza divina, è chiaro allora che abbiamo il panteismo.

Occorre invece dire che l’essere creata per la creatura non coincide con la sua essenza, ma è accidente che le si aggiunge.

In linea con l’identificazione che gli fa della creatura col suo esser creata, egli dà prova di un nichilismo, che da una parte annulla il mondo nella sua finitezza, e dall’altra comporta un’assolutizzazione del mondo, cosa che conduce al panteismo. 

 

Immagine da Internet: La Creazione, Mosaico Monreale

28 novembre, 2025

Che cosa è il nichilismo? - Quarta Parte (4/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Quarta Parte (4/5)

 

La metafisica di Barzaghi

Barzaghi dà il primato al pensiero sull’essere e quindi dell’ideale (o dell’«esemplare», come egli dice) sul reale, mostrandosi nella linea dell’idealismo di Cartesio, Hegel e di Gentile, che gli fu mediato dal suo maestro Bontadini. Il pensiero lo chiama «intero» e il reale «totalità». Il pensiero è inteso come una forma che riceve il contenuto, cioè l’essere, che è inteso come essere pensato; da cui l’identità di pensiero ed essere. Dice, seguendo Bontadini:

«L’Intero non è la Totalità del reale; l’Intero è l’ambito entro cui si indaga intorno alla totalità del reale, in cui si pone l’idea di questa totalità e il relativo problema. Sinonimo di Intero sono “implesso originario”, “struttura originaria”, “orizzonte circonfondente”, “ordine teoretico”, “atto del pensiero”»[1]. L’essere è inteso come pensiero autocosciente sussistente avente per oggetto l’essere come essere pensato. 

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Come dice Hegel, «Dio non è Dio senza il mondo». E questo insieme Dio-mondo, al di fuori del quale non c’è nulla, come non c’è nulla al di fuori dell’essere, viene chiamato l’«Intero». … Il vero dualismo non è la nozione analogica dell’essere, ma è nascosto nella nozione univocista e monista di Parmenide.

Per Barzaghi, Dio non crea ponendo ma negando; non crea entificando ma annullando. Non incrementa l’essere, ma lo finitizza. Questa concezione del finito come nulla era già stata espressa da Meister Eckhart e fu condannata da Giovanni XXII nel 1329: «omnes creaturae sunt unum purum nihil; non dico quod sint quid modicum vel aliquid, sed quod sunt unum et purum nihil» (Denz.976).

Ricordiamo anche la proposizione rosminiana condannata: «finita realitas non est, se Deus facit eam esse, addendo infinitae realitati limitationem» (Denz.3212). È lo stesso principio di Spinoza: «omnis determinatio est negatio». Nel creare Dio non incrementa l’essere, ma restringe il proprio.

Il Concilio di Firenze del 1442 dice che «in Dio tutto è uno». Non dice tutto è uno. Dire così vuol dire confondere tutto con tutto. È l’accusa che già Aristotele faceva a Parmenide. Se tutto è tutto, e ogni ente è ogni altro ente, togliamo le distinzioni, le diversità e le differenze. Ma Dio e gli enti sono enti determinati, distinti e differenti fra di loro. L’uno non è l’altro. … dire che tutto è uno porta al nichilismo.

Diverso invece e verissimo è dire che Dio è in tutte le cose, che tutte in lui sussistono e che in Dio tutto è uno, perché Egli, Essere perfettissimo che attua in Sé la totalità dell’essere, ottimo e massimo, è l’insieme unito di tutte le perfezioni nell’unità semplicissima della sua essenza, per cui Egli contiene in Se stesso tutto e ogni cosa, prima che esista fuori di Lui, contiene virtualmente nella sua essenza onnipotente, ogni cosa identica alla sua essenza, essenza divina che è identità assoluta di essere, pensiero e volontà, come la causa precontiene eminentemente in se stessa l’effetto.

Immagine da Internet: Meister Eckhart 

27 novembre, 2025

Che cosa è il nichilismo? - Terza Parte (3/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Terza Parte (3/5)

 

L’antinichilismo di Severino cela l’ombra del nichilismo

Nel panorama filosofico odierno, ancora impelagato nella nebbia del vecchio e o miope storicismo hegeliano e crociano, che si attarda nella grossolanità dello evoluzionismo materialista, che confonde la vita con la macchina, prigioniero della sensualità freudiana, immerso nella mistica del nulla, erede del soggettivismo luterano, infiacchito dal pensiero debole,  Severino oggi appare a molti come il faro che splende nelle tenebre, come la roccia sulla quale costruire la casa, come colui che rivela l’infinità dell’uomo,  come una quercia tra le canne sbattute dai venti, come la speranza contro  la minaccia del nichilismo.

Severino ha fatto della sua lotta contro il nichilismo per la verità dell’essere il punto cardine della sua impresa filosofica, ma avendo assunto una nozione di essere come quella parmenidea, spregiatrice del divenire e del molteplice, senza riuscire a evitare il concetto hegeliano del divenire, ed avendo frainteso la metafisica cristiana che egli accusa di nichilismo, è caduto in pieno nel nichilismo hegeliano. 

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Severino si presenta e si proclama pertanto nel contempo e logicamente come implacabile nemico e denunciatore del nichilismo. … Ma dobbiamo segnalare con dispiacere la sua ben nota dottrina, che accusa il cristianesimo di nichilismo, giungendo a parlare di «follìa», riguardo alla dottrina della creazione, dottrina che, come è ben noto, comporta la produzione da parte di Dio delle cose dal nulla.

Infatti secondo lui il concetto di produzione dell’ente dal nulla sarebbe contradditorio perchè affermerebbe o implicherebbe l’affermazione che il non-essere è l’essere. Ma ciò non è affatto vero. 

Severino apprezza Parmenide come il primo e migliore enunciatore del principio di non-contraddizione: «l’essere è; il non-essere non è». Non gli va bene invece l’enunciato aristotelico che inserisce il riferimento al tempo. Invece tale riferimento è essenziale, per riconoscere la realtà del tempo, giacchè essere e non essere possono stare assieme se sono distanziati nel tempo e d’altra parte anche il diveniente ha una sua necessità, perché nel momento in cui è, non può non essere. Se una cosa prima non è e poi è - è il caso della creazione - non c’è alcuna contraddizione e non c’è alcun motivo per togliere o ignorare il prima e il poi perché si cadrebbe nel falso.

Notiamo che il riferimento metafisico fondamentale di Barzaghi, come quello di Severino e di Bontadini, non è l’ente analogico, uno e molteplice di Aristotele e della Scrittura, ma è l’essere parmenideo, l’unotutto. L’essere è l’essere divino e assoluto.

La distinzione tra essere necessario ed essere contingente è respinta come «dualismo» perché nega l’unotutto, concetto di origine parmenidea che era stato già sviluppato da Vladimir Soloviev, concetto che egli designa col termine russo vseedinstvo. In questa visuale si confonde la totalità dell’essere col Tutto divino. Così succede che tutte le cose sono Dio. E tutto è in tutto. Il mondo è Dio e Dio è il mondo. Non si distingue la natura umana dalla natura divina, per cui da qui sorge una cristologia eretica.

Immagine da Internet: Vladimir Soloviev

26 novembre, 2025

Che cosa è il nichilismo? - Seconda Parte (2/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Seconda Parte (2/5)

 

Tra l’essere e il non-essere

Quando consideriamo il significato e l’orientamento della nostra vita e il fine della nostra esistenza, quando pensiamo a che cos’è che massimamente desideriamo e vogliamo e di cui abbiamo bisogno per essere felici, a tutti noi s’impone una scelta: o ci volgiamo verso noi stessi, cioè puntiamo al nostro io, ci appoggiamo su noi stessi assolutizzando noi stessi, ritenendo che il nostro io sia il centro di tutto, credendo di non dipendere da nessuno e che nessuno curi i nostri interessi meglio di quanto noi stessi possiamo fare.

Oppure ci volgiamo a un tu, che ci sta davanti, esistente prima e indipendentemente da noi, al di sopra di noi e a fondamento della nostra esistenza, un tu che scopriamo essere la causa e il principio di ogni essere, perché è lo stesso essere sussistente, infinitamente sapiente, potente, amorevole e provvidente, desideriamo  questo tu, vederlo ed entrare in comunione con lui,  ascoltiamo e obbediamo a questo tu, ci fidiamo di lui, confidiamo in lui, gli chiediamo perdono invocando misericordia, perché sappiamo di essere stati creati da questo tu, per cui è questo tu ad essere il nostro sommo bene e la nostra felicità. Questo tu è Dio.

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Il nichilismo si può nascondere anche sotto la falsa mistica, nella quale si esagera fino all’assurdo l’oscurità del mistero divino, mescolando l’affermazione di Dio con la sua negazione, … Il vero mistico ha il gusto della luce e accetta umilmente i suoi limiti e le tenebre del mistero divino.

È vero che parlando di Dio la Scrittura dice che «nubi e tenebre lo avvolgono» (Sal 97,2). È chiaro che l’infinità dell’essenza divina oltrepassa infinitamente la capacità finita della nostra ragione anche nella visione beatifica del cielo. Per usare un efficace paragone di Sant’Agostino, la pretesa dello gnostico e del razionalista è quella di contenere l’acqua dell’oceano in un secchiello o in un bicchiere. 

Eppure Dio è Luce che illumina le menti. Nella sua luce vediamo la luce. La luce della coscienza, la luce dell’intelletto agente provengono da Dio.

La filosofia di Hegel è la forma più radicale e sistematica di nichilismo mai esistita, celata sotto le apparenze della idealità, della razionalità, dell’affermazione dell’essere assoluto. … Chi poi oggi ci descrive con maggiore chiarezza questa visione nichilistica della realtà e questa concezione del nichilismo è Emanuele Severino.

Indubbiamente il nichilismo più serio, preoccupante e più odioso, vera «follìa», come dice Severino, è questo. Severino pertanto ha perfettamente ragione nell’insorgere contro questo nichilismo in nome del principio di non-contraddizione: l’essere non può essere il non-essere. L’essere non è il non-essere.

Infatti se astraiamo del tutto dagli inferiori dell’essere, per forza alla fine non rimane niente, ma ciò non perchè l’essere è niente, ma perché ci siamo sbagliati noi nell’astrarre, lasciando fuori le differenze come se l’essere fosse un genere e invece è un trascendentale, che include implicitamente tutti i generi. Finito e infinito, necessario e contingente, assoluto e relativo, mutevole e immutabile, eterno e temporale, creato e increato, materiale e spirituale, reale e ideale, uno e molteplice, benchè sotto l’essere, sono ancora essere.

 
Immagine da Internet: Sant'Agostino, Rubens


25 novembre, 2025

Che cosa è il nichilismo? - Prima Parte (1/5)

 

Che cosa è il nichilismo?

Prima Parte (1/5)

Prima che nascessero i monti e la terra

e il mondo fossero generati,

da sempre e per sempre Tu Sei, Dio

Sal 90,2

 

Bisogna che ne parliamo

Il Santo Padre, nell’omelia della Messa celebrata il 1° novembre scorso per la proclamazione di San John Henry Newman a Dottore della Chiesa, ha segnalato la necessità di «liberare l’umanità dall’oscurità del nichilismo, che è forse la malattia più pericolosa della cultura contemporanea, perché minaccia di cancellare la speranza». Il Papa ha ripetuto quasi alla lettera quanto disse già Papa Francesco il 21 novembre dell’anno scorso in un discorso all’Assemblea plenaria del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. Disse infatti che «il nichilismo è forse la piaga più pericolosa della cultura odierna perché è quella che pretende di cancellare la speranza».

È la prima volta che compare nel Magistero della Chiesa la segnalazione del male del nichilismo. Chi conosce la storia delle idee, sa che nel passato fu chiamata «nichilista» una corrente di pensatori russi del sec. XIX, i quali si designavano nichilisti volendo significare con questo termine un rifiuto dell’esistente, che abbisogna di essere totalmente rinnovato, la necessità di un’azione rivoluzionaria che annientasse le basi del presente sistema politico, sulla base della convinzione che la volontà umana è tanto potente, da poter distruggere e annientare l’essere e ricostruirlo e ricrearlo, così da operare nella società e nell’umanità un rinnovamento talmente radicale, da assicurare a tutti una tale libertà ed onnipotenza sull’essere e sul nulla, così da rinnovare radicalmente la realtà, la società e l’umanità, così da renderla capace di operare sull’essere e sul nulla, e da  assicurare a tutti una libertà assoluta sull’essere e sulla realtà, di annullare o creare a proprio piacimento tanto l’essere che il nulla. 

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Non esiste nella Scrittura un termine corrispondente alla parola «nichilismo». Tuttavia nessun testo religioso dell’umanità ci fa capire meglio che cosa è il nichilismo, qual è il male del nichilismo e come evitare e vincere il nichilismo. Innanzitutto nessuna sapienza come quella biblica mostra di avere il senso dell’essere, di sapere che cosa è l’essere e di avere tanta stima e tanto rispetto per l’essere, in qualunque sua forma, modalità e grado.

Il Bibbia ha comunque chiarissimo il concetto del nulla e ne parla più volte con molta profondità ed esattezza metafisica, in opposizione all’essere o all’esistere. Parlando della creazione fa riferimento al fatto che Dio crea dal nulla o dal non-essere.

La Bibbia insegna inoltre che il principio, la causa, la ragion d’essere, il perchè primo, il fondamento e l’origine di tutte le cose, di tutti gli enti esistenti e possibili, … è un Essere primo, unico, spirituale, personale, il «Signore» (Elohìm) … ossia Dio.

La Bibbia ha anche la chiara percezione dell’analogia dell’essere, cioè del fatto che insieme con Dio, al di sotto di Lui e in dipendenza da Lui, creati, ordinati e mossi da Lui, esistono molti e diversi enti, esistenti analogicamente, similmente o diversamente, benchè inferiormente, a come esiste Lui, enti che non sono l’essere, ma hanno un essere per partecipazione, essere creato, finito, permanente o corruttibile.

 
Immagine da Internet: Bibbia, V. Van Gogh

21 novembre, 2025

Che cosa intendeva dire Rosmini? Un santo non può essere un panteista - Terza Parte (3/3)

 

Che cosa intendeva dire Rosmini?

Un santo non può essere un panteista

Terza Parte (3/3)

 

Alcuni punti da chiarire

Volendo passare in rassegna alcuni punti che ci aiutano a comprendere il senso della Nota della CDF, possiamo cominciare col dire che il «divino» del quale parla Rosmini, citato nelle proposizioni condannate, come chiarisce bene Giannini, non è Dio, ma è l’essere, scoprendone l’ampiezza e la sublimità del quale la mente giunge a scoprire l’essere divino. È «appartenenza divina» non perché sia un attributo divino, o una proprietà di Dio, ma perché, benchè, partecipe anch’esso dell’essere, legato al creato, è un predicato, un nome, un pensiero, che Dio ha scelto per designare il suo stesso essere sussistente.

Rosmini sembra confondere l’essere reale con l’essere ideale come se non fossimo noi a ricavare l’idea dell’essere dall’essere a noi già dato e a noi presupposto come oggetto del conoscere, ma fossimo noi a porre l’essere con la nostra idea dell’essere. Ora questo certamente sarebbe idealismo. Ma non è questo il vero intento e il vero pensiero di Rosmini. 

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Per Rosmini la «forma» non appartiene all’essenza dell’intelletto, anche se giace kantianamente nell’intelletto, ma è data all’intelletto; non costituisce, come per Kant, il modo del conoscere, ma l’oggetto suo primo, corrispondente all’ente come primo oggetto dell’intelletto, come nella gnoseologia tomista. L’intelletto, per Rosmini, come per Tommaso, è una facoltà dell’anima; non è come in Kant, l’io penso (Ich denke) di cartesiana memoria.

E lo stesso Tommaso chiama «forma» l’essere. Ma in Rosmini come in Tommaso, a differenza di Kant, per il quale la forma dà forma all’oggetto, l’essere come forma dell’intelletto è luce dell’intelletto e corrisponde all’essere stesso dell’oggetto del conoscere. Ossia per Tommaso e per Rosmini la cosa o la realtà ha già per conto proprio, fuori della mente e in sé stessa, la sua forma che è il suo stesso atto d’essere. Per cui l’intelletto non dà né forma né essere alle cose come fosse un semidio o un demiurgo, ma, grazie all’idea dell’essere, riconosce la forma e l’essere delle cose, che non dipendono dall’intelletto, ma da Dio creatore.

Immagine da Internet: Papa Gregorio XVI, ritratto

19 novembre, 2025

Che cosa intendeva dire Rosmini? Un santo non può essere un panteista - Seconda Parte (2/3)

 

Che cosa intendeva dire Rosmini?

Un santo non può essere un panteista

Seconda Parte (2/3)

 

L’essere ideale o idea dell’essere.

È la nozione-base della filosofia rosminiana, così come per San Tommaso è il concetto dell’ente come ciò che è in atto d’essere. Questa nozione universalissima e intuitiva illumina e abbraccia tutto il sistema di Rosmini così come quella dell’ente comune illumina tutto il sistema di Tommaso.

Naturalmente anche per Rosmini oggetto dell’intelletto è l’ente, ma nella luce dell’idea. Per questo Rosmini sembra un idealista, ma se poi guardiamo con quanta cura egli distingue l’ideale dal reale, l’ente intramentale dall’ente extramentale, il pensiero dall’essere, e con quale forza combatte contro l’idealismo, ci accorgiamo che, al di là del linguaggio idealista, in realtà Rosmini è un realista.

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Dunque bisogna dire che Rosmini, al di là dell’apparente idealismo del suo essere ideale, come ci avverte la Nota della CDF, è stato in realtà un realista che andando oltre l’idea, ha raggiunto lo stesso essere divino, sia pur sempre nell’idea o meglio nel concetto.

Inteso in questo senso, come rappresentazione mentale ed immagine dell’essere divino, l’essere ideale rosminiano gioca legittimamente da stella polare e centro propulsore, alla base di tutto il suo sistema e lo pervade tutto. È un sole e una meta ultima e suprema che lo accompagna ovunque e lo guida a Dio nell’esercizio della carità verso Dio e verso il prossimo.

Immagine da Internet: Papa Pio IX

18 novembre, 2025

Che cosa intendeva dire Rosmini? Un santo non può essere un panteista - Prima Parte (1/3)

 

Che cosa intendeva dire Rosmini?

Un santo non può essere un panteista

Prima Parte (1/3)


La Chiesa ci illumina sulla vicenda

 di un grande maestro controverso

Il Sommo Pontefice Leone XIV in un suo recente discorso ci ha presentato come guida alla sapienza il Beato Antonio Rosmini. Anche San Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio, tra i maestri ai quali oggi possiamo rivolgerci per acquistare la sapienza ci ha indicato il Beato Rosmini.

Il mio pensiero va a quell’intervento del Sant’Uffizio del 1887 sotto il pontificato di Leone XIII col quale venivano condannate 40 proposizioni estratte dalle opere del Roveretano. Uno si potrebbe domandare: come la Chiesa è arrivata a beatificare un teologo del quale ha censurato ben 40 proposizioni?

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Per dimostrare che Rosmini è un realista e non un idealista, basterebbe citare i passi nei quali egli nega che l’essere sia prodotto dal pensiero - salvo che si tratti del pensiero divino -, dà l’essere come presupposto al pensiero, trascendente il pensiero, esterno al pensiero e indipendente dal pensiero, tutte cose delle quali l’idealista ha orrore.

Immagine da Internet: Antonio Rosmini

14 novembre, 2025

Adamo ed Eva sono veramente esistiti?

 

Adamo ed Eva sono veramente esistiti?

Come è potuto aversi memoria di un fatto così antico?

Conosciamo tutti una tesi oggi diffusa secondo la quale Adamo ed Eva non sono veramente esistiti, ma sono la raffigurazione simbolica dell’umanità primitiva rappresentata con i colori più belli, creata da Dio santa ed innocente in un luogo di delizie, signora di tutta la terra, e poi tragicamente decaduta col peccato della ribellione a Dio, peccato, del quale oggi l’umanità soffre le penose conseguenze. 

Per certi esegeti il racconto della creazione del mondo e dell’uomo, benché affronti il delicato problema dell’essere e del divenire, non avrebbe alcun valore filosofico, ma sarebbe una costruzione immaginosa, popolare, poetica e metaforica tratta dall’esempio dell’artigiano che costruisce un manufatto o dell’agricoltore, che mette ordine tra gli animali e le piante. 

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Secondo al racconto biblico, Dio pone dei «cherubini» all’ingresso del giardino per impedire alla coppia di tornarvi e attingere all’«albero della vita» (Gen 3,24), albero che riapparirà nella terra dei risorti (Ap 22, 2 e 14). 

Nell’intervallo di tempo tra la cacciata dal paradiso terrestre e il suo ritorno da parte dei risorti nel nuovo giardino dell’Apocalisse nella terra dei risorti, dove si ritrova l’albero della vita, dove si trova il paradiso terrestre? Certo non più quaggiù, perché quello che era il paradiso terrestre, ora è celeste, ossia in cielo, laddove Gesù e Maria ci attendono. 

È da notare inoltre che Dio comanda alla coppia di «riempire la terra e soggiogarla» (Gen 1,28), il che vuol dire che questo «giardino» non è da intendersi come l’area all’interno della quale dovrà racchiudersi l’azione dell’umanità, ma solo la base di partenza per la conquista e la sottomissione dell’intero universo.

Adamo ed Eva furono posti nel medesimo universo nel quale ora viviamo, ma esso, a causa delle conseguenze del peccato originale, si presenta adesso come ostile ed inospitale, lontanissimo dal poter essere percorso e dominato dall’uomo, il quale viceversa si trova adesso ad essere come un granello di polvere in un universo sconfinato, che conserva  tracce di stupenda maestosità e bellezza, ma nel contempo minaccia e spaventa l’uomo con l’azione spesso improvvisa e imprevedibile di forze terribili e devastanti.

Immagine da Internet: Albero della vita, Abbazia di Pomposa

12 novembre, 2025

Omelia del Servo di Dio Padre Tomas Tyn. Festa di Maria Regina Nostra Fiducia. Anno Mariano - Bologna, 1987-88

 

Omelia del Servo di Dio Padre Tomas Tyn. Festa di Maria Regina Nostra Fiducia. Anno Mariano - Bologna, 1987-88

 Omelia del Servo di Dio Padre Tomas Tyn

Festa di Maria Regina Nostra Fiducia

Anno Mariano - Bologna, 1987-88

 

Audio:

-        S.Messa (Parte Prima) https://youtu.be/gkSIyYbjHG8

-        S.Messa (Parte Seconda) https://youtu.be/53LljJlDxwM

-        Omelia (Maria Regina Nostra Fiducia) https://youtu.be/Q9P-qK3mv1g

Registrazione e custodia dell’audio a cura di diverse persone

Omelia

         Fratelli miei carissimi, tutti oggi ci rallegriamo della solennità della Beata e Gloriosa Vergine Maria, Madre di Dio, Madre della Chiesa e Madre nostra, Regina nostra e anche Avvocata nostra, la Fiducia nostra. E’ sotto questo titolo che la parrocchia la celebra in modo particolare.

         Ma tutto il mondo è in festa per Maria, nostra Madre e Regina, proprio perché celebriamo, come voi ben sapete, l’Anno Mariano, un segno davvero provvidenziale per il bene della Chiesa intera, per il bene delle anime immortali riscattate dal sangue prezioso di Gesù, santificate per opera dello Spirito Santo, per il bene delle anime, perché alle anime in Maria rifulge un esempio sicuro di santità.

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/omelia-del-servo-di-dio-padre-tomas-tyn.html

 






Servo di Dio

Padre Tomas Tyn, OP 






08 novembre, 2025

Redenzione e corredenzione - Seconda Parte

 

Redenzione e corredenzione

Seconda Parte

 

Spunti di discussione

Riguardo a questo argomento della Corredentrice, pubblico due lettere che ho ricevuto e che considero interessanti.

Al riguardo avrei delle obiezioni da fare, ma me ne astengo per lasciare spazio ai Lettori per eventuali loro interventi.

1)

Il giornalista Americo Mascarucci ...

2)

Il Dott. Bruno V. ...

Continua a leggere:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/redenzione-e-corredenzione-seconda-parte.html


 

 

 

 

 

Immagine da

https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2025/10/26/giubileo-equipe-sinodali.html 

07 novembre, 2025

Redenzione e corredenzione - Prima Parte

 

Redenzione e corredenzione

Prima Parte

Cristo ci rende partecipi della sua opera redentrice

Come sappiamo, l’opera che Cristo ha compiuto sacrificandosi per noi sulla croce è chiamata dalla Scrittura con un nome metaforico preso dalle transazioni commerciali o di compra-vendita. Da qui l’immagine del sangue di Cristo come prezzo del nostro riscatto. Da qui l’idea che Cristo ci ha comprati a caro prezzo. Da qui l’immagine di Cristo che ha pagato per noi debitori insolventi. Da qui l’immagine del peccato come debito del quale chiediamo al Padre la remissione. 

Infatti il termine redenzione vuol dire comprare di nuovo (re-d-emptio). Cristo ci ha comprati o acquistati due volte pagando di persona. Ma a chi ha consegnato il denaro? A chi ci ha restituiti? Cristo, in quanto Dio creatore ci ha comprati una prima volta rendendoci proprietà del Padre con l’averci creati. Quindi il Padre è il nostro legittimo proprietario. Noi siamo proprietà del Padre perché siamo opera sua, sue creature. 

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La Madonna raggiunge la massima e inarrivabile perfezione ed universalità di un’opera alla quale tutti siamo chiamati e che ogni cristiano in quanto tale deve svolgere secondo la misura delle sue forze e le capacità soprannaturali ricevute da Dio. La Madonna, quindi, non è l’unica corredentrice, ma tra tutte le creature umane in grazia è quella che, essendo Madre di Dio, Immacolata, piena di grazia e Madre della Chiesa, è Madre della grazia e distributrice di tutte le grazie.

Maria non conferisce la grazia santificante e non è neppure sacerdote, però il suo raggio d’azione è universale e copre tutto il corso della storia; ella provvede e si prende cura come una madre di ciascuno di noi affinchè sia fornito delle grazie che gli occorrono per essere un buon cristiano secondo la sua particolare vocazione e i suoi bisogni spirituali.

04 novembre, 2025

Dalla ragione alla fede e dalla fede alla ragione. In margine ad alcuni Discorsi del Papa - Seconda Parte (2/2)

 

Dalla ragione alla fede e dalla fede alla ragione

In margine ad alcuni Discorsi del Papa

 

Seconda Parte (2/2)

La via di San Tommaso

La sapienza dell’Aquinate è una manuductio ad fidem, è una scuola di apologetica. Tommaso ci propone di educare la nostra ragione per prepararla a all’ascolto della Parola di Dio e a ricevere la luce della fede, come San Giovanni Battista ha preparato le vie del Signore con la predicazione della giustizia e delle opere buone. La vita spirituale inizia con l’esercizio della ragione partendo dall’esperienza sensibile e quando la ragione s’imbatte nella testimonianza del cristiano, se essa è onesta e non chiude gli occhi alla verità. per grazia di Dio la ragione si apre alla luce della fede e trascende sé stessa cogliendo verità divine che da sola non avrebbe mai potuto raggiungere.

Tanto Agostino quanto Tommaso sanno che se vogliamo condurre gli uomini alla fede cristiana, dobbiamo prepararli con un’adeguata opera di persuasione accompagnata da convincenti segni di credibilità. Questo metodo è esplicitamente insegnato dal Beato Pio IX in un documento curiale del 1855: «l’uso della ragione precede la fede e ad essa conduce l’uomo per opera della rivelazione e della grazia» (Denz.2817). 

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Già Aristotele, 2500 anni fa ha battagliato con Protagora, Eraclito e Parmenide sulla questione della verità e tutta la storia del pensiero da allora ad oggi è divisa in due campi o, per usare il linguaggio agostiniano, in due città.

Con le parole di Aristotele potremmo dire: tra coloro per i quali la verità è ciò che è e coloro che invece dicono che la verità è ciò che sembra. Nel Vangelo da una parte abbiamo Cristo e dall’altra l’ipocrisia e la doppiezza dei farisei.

Oggi siamo ancora allo stesso punto. Che fare? Imitare i profeti nella loro lotta contro i falsi profeti, Cristo nel dialogo con i farisei, Aristotele nella sua confutazione di Protagora ed Eraclito, Agostino nella sua confutazione degli Accademici, Tommaso nella sua dottrina della verità, Maritain nel confronto con la modernità, i Papi nell’affrontare le sfide del pensiero moderno.

 

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03 novembre, 2025

Dalla ragione alla fede e dalla fede alla ragione. In margine ad alcuni Discorsi del Papa - Prima Parte (1/2)

 

Dalla ragione alla fede e dalla fede alla ragione

In margine ad alcuni Discorsi del Papa

 

Prima Parte (1/2)

 

La via di Sant’Agostino e la via di San Tommaso

Il Santo Padre dall’inizio del suo Pontificato ha già indirizzato tre Discorsi[1] a partecipanti a Convegni internazionali di filosofia o teologia trattando del   rapporto tra fede e ragione con particolare riferimento alla differenza fra la teologia di Sant’Agostino e quella di San Tommaso.

Ma chiediamoci anzitutto che cosa hanno essi in comune: l’ identica stima per la verità, la certezza, la ragione, la ricerca, la discussione, la scienza, la filosofia, il progresso del sapere, la libertà di pensiero, la sapienza; entrambi distinguono l’idea umana, rappresentazione della realtà dall’idea divina, modello della realtà; entrambi accolgono il realismo gnoseologico, l’identica  fede cattolica, l’identica soggezione al Magistero della Chiesa  cattolica,  l’ identico odio per lo scetticismo, l’agnosticismo,  la protervia,  il relativismo, il dubbio sistematico, la presunzione, lo spirito di contraddizione, la doppiezza, la finzione, la simulazione, la sofistica, l’ipocrisia, il fideismo, il razionalismo, lo gnosticismo, l’idealismo.

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Il Santo Padre ha ben delineato la differenza tra la sapienza agostiniana e quella tomista, mostrando la superiorità di quella su questa, in quanto dono dello Spirito, quindi sapienza mistica e sapienza pastorale, dono anch’essa dello Spirito, stante lo stato episcopale di Agostino, Doctor Gratiae.

Mentre nella sapienza speculativa è sufficiente la virtù dell’intelletto educato dalla filosofia, l’esercizio della sapienza mistico-pastorale, come ha sottolineato il Papa, è impossibile se essa non è effetto della carità. Invece Tommaso è Dottore Comune della Chiesa nel campo della sapienza speculativa, giacchè egli è stato un semplice maestro di teologia, per cui Tommaso primeggia in quella sapienza teologica che è la teologia scolastica, funzionale alla formazione del clero e dei dottori in teologia.

Per quanto riguarda l’esistenza cristiana, i due Dottori fanno un cammino inverso l’uno rispetto all’altro: l’uno parte da dove l’altro è arrivato e viceversa. 

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